“Cerco talenti
che cadono dal cielo”
ed ho trovato...

NUCERIA-CAVA DE’ TIRRENI

“MINÙ COLLEZIONE CERAMICHE”

di Monica Palombo e Daniele Oliva

Nuceria” (cioè Nocera Superiore) confina con il territorio “tirreno” di Cava (de’ Tirreni). L’etruscologo Giovanni Colonna individuò, nel 1974, due “iscrizioni” su ceramica provenienti dal ritrovamento di un “Oinochoe” lavorato a buccheroe di un altro reperto ceramico  nella necropoli di Pareti (in via Nicotera) di Nocera Superiore, recanti caratteri di scrittura indigena, una specie di “slang” pre-Osco, molto simile a quello definito “dell’esperienza etrusca del periodo orientalizzante”, pur se con qualche variazione, rinvenuto anche a Capua, Vico Equense, Cuma, Abella, Nola, Santa Maria Capua Vetere… Colonna, però, in omaggio alla prominente importanza che la città di Nuceria ebbe nell’antichità, chiamò il linguaggio di quelle epigrafi: “Alfabeto Nocerino”. A mio avviso, sostenuto dalle tesi storico-culturali di un mio amico, credo che abbia commesso un azzardo, dovuto alla sua generosità in quanto quello “slang” sarebbe stato più giusto definirlo un “Alfabeto tardo-arcaico dei Popoli Tirreni della Valle del Sarno e Metelliana”. Disquisizioni a parte, Nuceria fu un centro ceramico che condivise e scambiò le esperienze ceramiche con l’affine città della “Cava” e non ho dovuto faticare molto per confermarlo.  

Avete mai visto i piatti istoriati, con altre vettovaglie di antico uso comune come anfore, vasi o brocche, e le sculture di Monica Palombo e di Daniele Oliva da “ MINÙ”, cioè presso la loro bottega ceramica in Nocera Superiore?

I piatti, come le altre vettovaglie in ocra e nero, sono repliche della civiltà etrusca o greco-etrusca, oppure ad esse ispirati nella composizione e nello stile, inconfondibile già a prima vista. Eppure non sono gli ordinari “souvenir” che si trovano in vendita a buon mercato presso tutti gli scavi archeologici, ma “pezzi” di pregio per collezionisti. 

Perché? Perché hanno la capacità di trasformare il linguaggio espressivo di una civiltà considerata morta da secoli, in un discorso “moderno”, chiaro, comprensibile, vivido ed eloquente come non mai. Qui le istoriazioni diventano sapienza artistica e artigiana, senza tempo. Oltre alla manifesta “sapienza” della mano che li foggia e li decora, questi “pezzi” sono di una bellezza e di una eleganza rara, con i loro sprazzi di bianchi splendenti e di rossi (rosso-etrusco, un rosso quasi rosato e rosso-pompeano, più carico del primo, un cinabro) che prorompono in una perfetta armonia di ocre e di neri.

Sono opere di pregio da possedere per la loro combinazione elegante di smalti e per le loro storie che raccontano l’origine dei significati dei nostri comportamenti e del nostro processo di pensiero attraverso una raffigurazione semplice ma profondissima ed intramontabile, nell’essenza e nella magia del segno. E le sculture, poi… Sono figlie del “bucchero” e si diramano delicatamente e con raffinatezza in intrecciati significati immortali, come quelli del loro “Albero della vita”, lucente e misterico come l’antracite che le riveste.

Ho visto e mi sono letteralmente lasciato conquistare anche dai loro pannelli ceramici di paesaggi, vere “cartografie” d’arredo moderno che suscitano un interesse vivo, un’attenzione nuova, per la ricchezza di dettagli significativi e colorati, contenuti un’atmosfera “favolosa”, tipica dell’a cultura dell’Oriente, quella dei “Popoli del mare”, dei “Tirreni”. Da dove può nascere tutto ciò se non da un retaggio antico, da un Dna indissolubile che pervade la cultura di Daniele e Monica di chiari origini “Tirrene” (Cavesi), che li rende testimoni colti e virtuosi di un tempo circolare? Ed ecco che dalla vena orientale delle origini dei Tirreni, Monica e Daniele arrivano, con le loro tazze nere con fregi guizzanti bianchi e rossi, a lambire i crismi della marziale e filosofica cultura giapponese dell’Estremo Oriente.

È proprio vero, il Dna, il sangue, non fallisce mai, come non è fallito quello dello spirito ribelle e libertario di quei popoli infuso nelle anime di Daniele e Monica. Ultimamente, poi, non si fa che parlare di libertà ma solo in teoria, in questi due provetti artisti, invece, ne sono chiari tutti i paradigmi nel loro coraggioso essere controcorrente nei fatti e nei principii. Questo mi spiega anche il loro virtuosismo per i dettagli, il tratto sicuro del disegno quasi leonardesco, la loro creatività “rivoluzionaria”, perché è di fatto rivoluzionario, per questi tempi ingannevoli e supertecnologici che cancellano la cultura, creare oggetti che rivendicano il ricordo, la tradizione, il desiderio di bellezza, l’amore per le cose del mondo, per gli oggetti che si toccano, si “godono” realmente e che ti seducono.

Se non vi ho convinto sulla loro singolare personalità, fatevi mostrare i loro piatti blu cobalto dove occhieggiano stelle di bianco lucente, o quelli con i polipi che sembrano scappare dai limiti del piatto o quelli ancora che inneggiano, con il loro virtuoso realismo, ai “pesce azzurri” dei nostri mari e ai pomodori rosso vulcanico, dei nostri orti fecondi. La libertà è ribelle per antonomasia e la ribellione è la bellezza della creatività, è Arte.
Matteo Autunno