Quando ho bisogno di caricare le mie energie, faccio spesso un salto a Napoli e se poi ho anche bisogno di approfondire qualche cosa sulla ceramica antica, mi reco al “MANN”, al Museo Archeologico Nazionale che è in assoluto il più antico museo costruito in Europa e uno dei più celebri al mondo. Se invece ho bisogno di lezioni di finezza e di splendore, mi allungo al Museo di Capodimonte, dove ammiro le numerosissime opere della Real Fabbrica Ferdinandea di Capodimonte. Questi due famosi complessi, insieme, ne sanno più di Dio, il modellatore d’argilla per antonomasia, perché mentre Dio ha plasmato noi uomini che non raramente sfregiamo, deturpiamo e uccidiamo le infinite bellezze del suo Creato, a Capodimonte tutto è bello, senza alcuna eccezione.
Parlare della ceramica “bucchera” etrusca, di reperti dell’VIII° secolo a. C. e delle preziosità della Real Fabbrica, sarebbe come sminuire tutto ciò che può apprendersi solo con gli occhi. In verità, ho pensato che scoprire un artista della ceramica che sapesse ben rappresentare questi due caratteristici aspetti culturali napoletani, sarebbe stato proprio un bel colpo di fortuna e io confido nella fortuna, specialmente dopo aver fatto un bel “pieno” di Napoletanetà. Ed è stato così che un giorno, dopo essere stato a Capodimonte, ho deciso di ritornare a casa dai Camaldoli, per Pianura, pur allungando il tragitto. Strada facendo, ho scorto una piccola insegna di un laboratorio ceramico, ho parcheggiato e mi ci sono avviato a piedi.
Appena varcato un cancelletto, è come se vi fosse un’aria nuova, inebriante: fiori vividi e zampillanti, limoni profumati, un gatto certosino che si beava all’ombra e tante ceramiche che brillavano sui muri e sui ripiani, all’aria aperta. E tutto ciò, nel caratteristico trambusto di Napoli. Era una vera oasi, una piccola gemma tra gli occhi di Partenope. Seguendo il vocìo, sono arrivato al laboratorio. Alcune belle signore con camici candidi modellavano, altre decoravano.